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Ingrata

Conte en langue italienne sorti en épisodes sur le magazine Niederngasse.

Ingrata est l’histoire illustrée d’un chatte sans pitié qui quitte sa maison et ses maitres pour s’aventurer dans le monde. Jusqu’au jour où elle tombe dans un puit habité par un troupeau de blattes.

Ingrata I.

C’era una volta una gatta di nome Ingrata…di nome e di fatto.

Ingrata

Uno strano carattere distruttivo dominava l’animale dal primo mattino, lo spingeva ad alzarsi di scatto, a saltare la ciotola della colazione, il latteo lago dai riflessi violetti per andare rincorrere gli insetti, i pacifici conigli, le briose cavallette.

I padroni di Ingrata, Pascal e Viola, come tutti i loro amici, amavano Ingrata profondamente, malgrado le sue stranezze. Modellati dal loro mestiere di ristoratori erano dolci e servili e sopportavano stoicamente i balzi della gatta sui bicchieri di crema appena riempiti, i miagolii durante le conversazioni importanti, i peli volatili sui piatti dei commensali. Quando quella faceva la matta e come una pallina impazzita rimbalzava qui e lì per gli spazi del ristorante, loro la schivavano con scioltezza, la stessa con cui componevano i loro piatti, adagiavano sopra gli arrosti i rosmarini e sopra le panne cotte i giganti gelsomini.

Ingrata veniva trattata coi guanti: Pascal si svegliava un’ora prima per prepararle i manicaretti più incantevoli, mentre Viola interrompeva volentieri i suoi sonnellini per disfare e rifare la sua cuccia. Tenera di cuore, come uno di quei cioccolatini che fuori è duro e dentro è liquido, la giovane donna piangeva di nascosto le cattiverie della gatta che avrebbe voluto più mansueta, più desiderosa di venirsi a posare sulle sue gambe e quelle del compagno, nelle fredde serata d’inverno francese, quando l’unica cosa che si sentiva a parte il freddo, erano i macchinari per fare il formaggio del vicino Gregoire.

Ingrata II. La caduta nel pozzo

Ingrata et les blattes

Un mattino, Ingrata partì da sola, seguendo la scia di polvere sollevata da una cavalletta.
Nell’impeto dell’inseguimento percorse alcuni chilometri senza accorgersene e, perdendo di vista la strada, precipitò in un minuscolo pozzo nascosto tra le erbe, che nessuno aveva chiuso.
Questo era abbastanza fondo da intrappolare un gatto senza che potesse uscirne, se non con l’aiuto di un essere umano.

L’afflitta Ingrata, dopo un primo momento di stordimento, si era accanita contro la circonferenza di pietra che soffocava la sua ferina vitalità. Saltò, saltò, contro ogni evidenza, anche quando sprazzi di allucinazioni di boschi e foreste, dove non era mai stata, si sovrapposero alle immagini della realtà, fiaccandola ancora di più. Solo quando fu troppo debole e disperata, la gatta si riposò.

I pensieri sulla soglia del sonno: come le sarebbe piaciuto dare una leccatina alla crema rappresa o un morsetto ai manicaretti di Pascal.
In quel tugurio le paure si amplificavano e le nostalgie si trasformavano in mari, oceani di cui il pozzo era un surrogato che cullava Ingrata fino a derive sconosciute.

Ad un certo punto alcune blatte notturne si avvicinarono. In uno spazio aperto, Ingrata, di quei brutti così neri e croccanti aveva l’abitudine di fare man bassa, li trasformava in un grande banchetto dal quale usciva vittoriosa, con i baffi inzaccherati di pezzi di antenne e corazze sfaldate.
Le blatte, potendo contare sulle ipnotiche sfumature blu e arcobaleno dei loro carapaci, condussero Ingrata in uno stato d’animo particolare che le incurvò le spalle, le fiaccò l’animo e la obbligò a riporre le sue bestiali rivendicazioni nella guaina. Le blatte le dissero in coro che ciò che faceva subire ai suoi padroni era veramente orribile ed enumerarono tutte le monellerie senza senso che aveva commesso, con voce impostata e rauca e una pesante prosodia che ricordava i rumori emanati da campane di ottone. Costretta a subire una tale strigliata, Ingrata dapprima si sentì infastidita, poi triste, poi desolata, poi in colpa fino all’ultimo pelo per l’infelicità che aveva inflitto alla sua famiglia.

Ingrata III. Il pozzéano

Ingrata petite

Intanto nella piccola tenuta di Carbendan, Pascal e Viola piagnucolavano calde lacrime. Lei con la testa reclina sulle mani, lui solo interiormente, come solo i veri uomini di campagna sanno fare. Pascal sentiva di dover rimanere lucido per raccogliere le lacrime della compagna e gettarle in un pozzo comunicante con tutti i pozzi della città, compreso quello in cui Ingrata faceva il bagno da 24 ore e che chiameremo pozzéano (vista la sua somiglianza con l’oceano).

La donna era inconsolabile e piangeva giorno e notte. Il giorno passando per i corridoi del ristorante e vedendo le terrine di crema su cui Ingrata era solita passare la linguetta; la notte per non aver ritrovato i suoi peli nei piatti vuoti dei commensali o le sue impronte nei piatti di purè.

Pascal, igienista incallito e inguaribile razionale, di tutte quelle lacrime continuava a riempire un sacchetto che gettava diligentemente nel pozzo, come olio esausto.

Ingrata VI. Fine

Una seconda, terza, quarta festa si organizzò nella casa di Viola e Pascal che erano ormai ricoperti di doni, cioccolatini, attenzioni e gattini in numero esponenziale. Vedendo che col passare dei giorni la gatta non si manifestava, il boss dei due cuochi regalò loro tre settimane di ferie.

Ingrata retourne chez elle

La coppia smise di pensare che Ingrata fosse la cosa più importante del mondo e che potesse combinare ciò che voleva. Viola pianse ancora ma meno dell’inizio, cosicché Pascal andò a svuotare il sacchetto nel pozzo per l’ultima volta. Dall’altra parte della città, questo si riempiva talmente che Ingrata poté uscirne facilmente. Dopo un primo momento di estasi ferina, la gatta si ricompose, dicendosi che non era più lo stesso animale, così si voltò a salutare per l’ultima volta le blatte che dopotutto, avendola portata a quel cambiamento radicale, potevano essere considerate delle amiche.

Quelle, una volta che Ingrata si voltò, si tolsero le maschere e ritrovarono la loro immagine di lucciole benemerite che avevano come sola missione di accrescere i cuori degli animali pestiferi e rimettere ogni cosa al suo posto. Ingrata si diresse verso casa e nel cammino gioì delle piccole cose, dei passanti, delle automobili, dei ristoranti, del sole e del cielo.

Quando arrivò a casa, Viola e Pascal erano tranquillamente seduti a leggere, sereni nella solitudine ritrovata, rassegnati all’idea che Ingrata non sarebbe mai più tornata. Dentro di loro, in quel luogo misterioso situato tra le palpebre e il cuore, già fantasticavano di ciò che avrebbero potuto fare ora che Ingrata non c’era più; di come occupare lo spazio occupato dalle ciotole e la lettiera.

Ma la vista della gatta sulla soglia li fece trasalire, gli mozzò il fiato, come avessero appena visto lo spirito di un morto. Dapprima tesero le braccia senza piangere, con tanta tenerezza nel cuore, poi si sciolsero come gelati al sole e per un giorno interno rimasero così, felici ed esultanti.
Ingrata da quel giorno vive attaccata ai suoi padroni con la stessa devozione che loro le hanno sempre dimostrato. Inoltre, non avendo più paura dell’acqua, dopo la brutta esperienza nel pozzéano, Ingrata segue Viola e Pascal persino nelle gite in barca.
Si mette seduta in mezzo a loro come una fetta di prosciutto tra due fette di pane. Le zampe sulla schiena di lui e la schiena sul petto di lei.

Ingrata et ses maîtres

Un nuovo equilibrio è nato, e mai più sono stati avvistati peli di gatto nelle creme dei commensali ragguardevoli.

Ingrata V. Ingrata e il dialogo interiore

Ingrata et les blattes

Nel frattempo Ingrata si era svegliata da una notte tormentata, in cui non si era voluta abbandonare completamente al sonno, per paura di annegare. Era stato grazie all’acqua spessa e acquitrinosa del pozzo se era sopravvissuta alla notte.
La giornata fu una tortura, tale e quale a quelle precedenti. Le blatte erano sempre scure e ipnotiche e implacabilmente le rinfacciavano questo e quello. Descrivevano così bene le scene, da suscitare in lei vergogna e pentimento.
Quando ormai la gatta era esausta, le rivelarono di essere gli spiriti della coscienza degli animali predatori e ammisero di agire nelle segrete della terra, dove erano scavate alcove lunghe chilometri che collegavano tra loro i domicili ospitanti animali domestici pestiferi come lei.
Di pozzi come quelli in cui Ingrata era prigioniera, ce n’erano centinaia, ricavati in posizioni strategiche e fatti appositamente per accogliere il saltellare incosciente e scalmanato dei gatti come lei.
La corazza di una di loro venne usata a mo’ di sfera di cristallo da una seconda blatta, che ponendovi sopra le zampette e facendo dei movimenti circolari, fece apparire sulla superficie tutte le scene in cui Viola aveva pianto e Pascal sospirato.
Esausta e intimidita da tanta crudeltà (la sua e la loro) Ingrata perse tutta la sua vitalità e si chiese come aveva potuto essere tanto sciocca. Non rispose subito alla sua domanda e si ritirò in se stessa tutto il pomeriggio al punto che la condanna delle blatte, paragonata alla sua, si ridusse ad uno sbiadito blaterare.
Fu solo così, stretta in un fitto dialogo con se stessa, che Ingrata poté restare in ascolto del flusso di maturità che stava nascendo nel suo cuore, come un fiotto di sangue sale verso un cuore da rinnovare.